lunedì 9 dicembre 2013

Osare

Ginoria non lo ammetterebbe mai ma noi amiche non ci lasciamo ingannare... il suo rifiuto di incontrare giovani studenti delle superiori per parlare loro del mondo del lavoro è solo un modo per svicolare di fronte ad un ostacolo. Noi sappiamo benissimo che è tentata dalla tosta sfida (insomma cercare di fare discorsi seri a giovani menti stordite da scariche ormonali può risultare complesso) ma ha troppa paura di non essere all'altezza: pensare ad un discorso autorevole ma accattivante? Rispondere ad eventuali domande? Farsi rispettare senza l'ausilio delle parolacce?
"No, non è per me e poi ho il dentista proprio quel giorno lì". Certo ha fissato un appuntamento mirato per fugare ogni dubbio sulla sua mancanza di coraggio.
Rosa le ha fatto una ramanzina degna di un oratore di professione, peccato che nemmeno lei brilli di ardimento. Le è stata offerta la possibilità di realizzare un musical. Potrebbe imbastirlo ed interpretarlo se volesse... Ah Già! Ma lei lo vorrebbe perché potrebbe finalmente mettere in atto quelle idee di cui tanto ha parlato ed accomodare quegli aspetti di cui si è sempre lamentata ma...
"Come potrei realizzare qualcosa di pregevole senza aver a disposizione tempo e mezzi adeguati?! Io ho un altro lavoro, quello vero, quello che mi dà da mangiare, non posso mica trascurarlo! No, non ne vale la pena!" sbraita con lo sguardo afflitto che trasmette tutt'altro messaggio. Uno del tipo: "Me la faccio sotto e se fosse un flop non riuscirei più a farmi vedere in giro".
Io e Nella siamo vittime della stessa sindrome e così insieme alle due altre spavalde usiamo spesso il condizionale per spiegare come sarebbe bello se.
Rina è l'unica a non avere di questi problemi, anzi lei andrebbe fermata poiché la sua baldanza fiammeggia, la sprona oltre l'osabile e di solito va a finire che dobbiamo consigliarla per le pessime figure, le perdite economiche, le offese subite.
Riflettendoci però io preferisco il suo atteggiamento, anzi lo invidio un pochino. Insomma meglio un capitombolo per aver preso la rincorsa in vista di un salto che quello dovuto ad una buccia di banana sotto i piedi. Ed è buffo pensare di non averla vista nonostante lo sguardo fisso a terra.
Ah! La paura ingannatrice e scivolosa.

giovedì 14 novembre 2013

Percezioni

La dolce signora ritornò per un attimo alla brocca che aveva di fronte, l’unguento era quasi ultimato e ciò la riportò al motivo per cui l’aveva realizzato, Ruin il marito di Falia.
Ruin lavorava alla Mano Celeste una pianura a circa un’ora di cammino dal villaggio, si trattava di una larga distesa divisa a nord est in cinque vie sassose che si prolungavano verso le pendici delle montagne e scomparivano all’ingresso di ampie grotte. Quello squarcio di valle mozzava il respiro.
Vivida nella mente di Mava, la vista della Mano Celeste causò un capogiro all’Intrusa, non preparata a trovare spalancata di fronte a sé la porta di un sogno. 
Dall’alto del pendio, si stagliava alla vista un enorme mano il cui palmo erboso era solcato dalle sottili linee marroncine dei sentieri mentre le cinque vie, come callose dita lo univano al mondo ignoto nelle viscere delle montagne; la similitudine con la mano umana era così evidente che nessuno poteva immaginare qualcosa di più vicino ad una fusione completa tra uomo e natura. Ma la cosa più straordinaria era ammirare la valle attraverso il velo di una perenne bruma azzurrognola che baciava l’erba, i sassi, i ripidi pendii e si arricchiva di un azzurro brillante con i raggi del sole o si attenuava in un fragile celeste nei giorni di pioggia.
Per chi non vi era mai stato, la prima volta alla Mano Celeste costituiva un viaggio nell’irreale, il miraggio di un viaggiatore esausto.
Qui lavorava la maggior parte degli abitanti del paese; dalle grotte veniva estratta infatti la particolare pietra azzurra. Essa era lavata nell’acqua del fiume Malstoir che nascosto da alte sponde verdi costeggiava la Mano e scendeva in cascatelle verso valle; dopo essere stata asciugata la pietra era intagliata con minuziosa precisione dalla gente del villaggio, prime fra tutte le donne, per ottenere stoviglie, vetri, oggetti da vendere ai forestieri come ampolle o vasetti sagomati a forma di animali e piante. 
Ruin era da molti anni un lavoratore esperto della pietra azzurra, ma la faticosa attività che lo costringeva a stare piegato ed in ginocchio per molte ore al giorno lo avevano indebolito, tanto più a causa di una fragilità delle articolazioni che tendevano a infiammarsi.
Ruin e Falia si erano sposati appena due anni prima; avevano lavorato per diversi anni alla Mano Celeste insieme finchè una mattina Ruin si era presentato a casa di Falia all’alba per dirle che aveva deciso di sposarla e che lei smettesse di lavorare per lasciare a lui solo il compito di sfamare la famiglia. Falia che gli aveva sempre voluto un gran bene non solo non lo aveva contraddetto ma si era subito recata a casa sua con vestiti e tegami.
“ C’è qualcosa da mangiare?!”
Mava spalancò gli occhi; di fronte a quello sguardo, per un attimo, il salone si oscurò.


giovedì 7 novembre 2013

Ed ora... Cinema

"La migliore offerta" è un film di Giuseppe Tornatore, con Geoffrey Rush, Donald Sutherland e le musiche di Ennio Morricone.
Allettante, decido di guardarlo. 
Geoffrey Rush non tradisce le aspettative (ne: "Il discorso del re" interpreta un terapeuta esperto in problemi di linguaggio ed in Quills, si cala nei panni del Marchese de Sade solo per citare un paio di film che ho gradito molto) ed in questo contesto dà vita a Virgil Oldman, un battitore d'aste, piuttosto ricco ed astuto che nel corso del tempo riesce a crearsi una collezione inestimabile di dipinti raffiguranti solo volti femminili, grazie alla complicità di un amico, Billy o Donald Sutherland, che li compra per lui alle aste a prezzi accessibili.
Oldman è un tipo eccentrico, indossa sempre dei guanti per evitare il più possibile il contatto con le persone, è solitario e sospettoso. Finché... arriva una telefonata. Claire Ibbetson richiede la sua competenza per inventariare gli oggetti presenti nella vecchia villa di famiglia; il meccanismo si innesca. 
La donna non si presenta agli appuntamenti fissati telefonicamente con Oldman portando all'esasperazione l'uomo che, nonostante i sopralluoghi alla villa dove trova resti di preziosi ingranaggi appartenuti ad un antico automa meccanico, decide più volte di rinunciare al lavoro per cui è stato sollecitato.
Ma è Claire a non rinunciare, vuole che sia Virgil ad occuparsi di tutto e questi indagando, scopre che la donna, ventisettenne, vive da dodici anni nascosta nella villa poiché soffre di agorafobia.
Virgil confida il segreto ad un giovane amico, Robert, che nel frattempo sta tentando di rimettere insieme l'antico automa con i pezzi ritrovati nella villa. Il ragazzo gli offre i propri consigli ed il proprio aiuto per conquistare la donna. Inizia un ripido cammino di avvicinamento tra Virgil e Claire, di superamento dei propri limiti e delle proprie paure, di innamoramento.
Vi dico soltanto che sì l'amore scoppia ma non è salutare, almeno per uno dei due.
Ho trovato il film ben costruito, ben recitato (splendidi anche Jim Sturgess/Robert e Sylvia Hoecks/Claire), con brillanti e raffinati dialoghi e location artisticamente da urlo.
Consigliato!

giovedì 31 ottobre 2013

Bentornato Halloween

Quella notte la strega Gualdella si risvegliò. Aveva dormito per un centinaio di anni ed ora si sentiva pronta per ritornare al solito tran tran. Sì, aveva fatto proprio una bella dormita ma dopotutto le ultime avventure erano state piuttosto stancanti. Insomma, cercare per mesi la Terra dei Draghi Ustionanti per farsi, appunto ustionare una mano ed ottenere così la vescica ungola, il cui siero proteggeva dal terribile incantesimo deturmio, aveva ridotto tutte le sue energie al minimo.
Senza contare i guai incontrati prima di arrivare ai draghi, la sua ultima destinazione.
Gualdella usava solo la scopa per spostarsi, non voleva sentir parlare di passaggi o strappi dati da vecchie cornacchie avide che pretendevano tre pozioni di bellezza in cambio, oppure da draghi o grifoni, certo più simpatici ma verso cui poi si sentiva in dovere di ricambiare con qualche incantesimo di favore. No, no, meglio arrangiarsi da sole e la scopa restava il mezzo più pratico, economico e comodo esistente nel mondo magico; Gualdella ne era convinta. I fatti le avrebbero dato ragione visto che la sua fedele scopa Chiometta, come la chiamava lei, l'aveva salvata in numerose occasioni.
Una, per esempio, si era verificata quando la strega, sorvolando la gola dei Giganti Unghiati aveva subìto un attacco a sorpresa da uno di quei bestioni maleodoranti; era stata arpionata dalle sue terribili unghie allungate che, tra l'altro, le avevano procurato varie ferite, e se non fosse stata per la bravura di Chiometta avrebbe fatto una brutta fine poiché nessuno era mai uscito vivo dalle grotte giganti. La fedele scopa aveva disturbato il malintenzionato girandogli intorno a grandissima velocità e colpendolo di manico finché l'essere aveva dovuto ritirare le unghie liberando Gualdella. Fortunatamente Chiometta l'aveva recuperata prima che precipitasse sulle rocce di sotto e poi era ripartita lasciando il gigante a sproloquiare oscenamente.
Era stato in seguito a questo fatto che nella mente della strega aveva cominciato a formarsi l'idea di scovare un incantesimo per poter volare da sola nelle situazioni di pura emergenza, niente infatti avrebbe mai sostituito Chiometta.
Comunque si erano verificati parecchi altri episodi movimentati durante il lungo viaggio. Avere il lasciapassare per entrare nella terra di Mucosa le era costato quasi un ginocchio, nel vero senso della parola. Infatti era rimasta senza un ginocchio per alcune ore, prelevato dall'infame incantesimo di uno di quei Mostri Risucchio che abitavano Mucosa. Per non parlare delle nubi ragnatela attraverso cui era dovuta passare cercando di non restare intrappolata o altrimenti avrebbe corso il rischio di essere preda degli Insetti Fantasma, orride creature ricoperte da strati e strati di pelle bianchiccia che li facevano assomigliare a mummie con le zampe e le ali. Pensare che Gualdella se la sarebbe vista poi con le mummie vere! Tornando ai malvagi insetti, questi aspettavano che qualcuno restasse imprigionato nelle nuvole, poi lanciavano contro il malcapitato alcuni dei propri strati di pelle per soffocarlo e ad alla fine lo mettevano in casa propria come trofeo.
Insomma non era stato facile arrivare incolume ai Draghi Ustionanti.
Gualdella, pensando a tutto ciò, si mise le mani nei foltissimi capelli color castagna e poi si dedicò ad una serie di stiracchiamenti magici perché allungare le braccia per un chilometro verso il cielo o far avvitare la schiena su se stessa per cento giri non era qualcosa di umanamente possibile. Ah! Già! Gli umani. Chissà come se la cavavano. Ogni tanto Gualdella scendeva dal Mondo Magico sulla terra per dare una sbirciata a quegli esseri curiosi. Non vi andava spesso poiché in realtà non li amava molto. Aveva provato a cogliere degli aspetti positivi in loro e ne aveva trovati ma non riuscivano a farle superare la brutta impressione generale che aveva del genere umano. Purtroppo ogni volta che era scesa sulla terra aveva constatato che i suoi aspetti brutti superavano sempre i belli. Ad un'azione positiva si rispondeva sempre con centinaia di azioni negative tanto da rendere tutto indistintamente opaco.  Chissà, forse era lei ad esagerare; amava così tanto il Mondo Magico da non apprezzare una terra che non fosse la sua.
"Sono proprio ingiusta!" esclamò a voce alta. "Ho affrontato montagne di pericoli e creature di una malvagità senza confini e sono qui a dare giudizi su esseri che non conosco neanche troppo bene!". Si raddrizzò per tutto il suo metro e trenta di altezza, si sistemò il vestito sui fianchi cicciottelli, strinse la sciarpetta giallo ocra al collo, appuntò il mantello nero sulle spalle, mise il cappello a falde larghe e si preparò ad un nuovo viaggio. "Chiometta! Vieni per favore, scendiamo sulla terra!". La scopa non vedeva l'ora di sgranchirsi tutta quanta dopo aver dormito insieme a Gualdella per tanto tempo e svolazzò felice nella stanza per posarsi poi ai piedi della strega. "Chiometta, vediamo cos'è successo laggiù mentre noi dormivamo". La scopa fece un cenno affermativo con la chioma costituita dai capelli della strega più potente ed antica del Mondo Magico che Gualdella aveva avuto la fortuna di incontrare una volta. Prima di partire però Gualdella controllò il calendario di pergamena e si accorse che era il 31 ottobre. "Guarda, guarda, ci siamo svegliate proprio il giorno della festa di Samhain. Credo che gli umani la chiamino Halloween. Sarà interessante" disse la strega, poi saltò sulla scopa e partì.

Sto aspettando che Gualdella mi faccia avere il resoconto della sua visita sulla terra e la sto convincendo a farmi raccontare cosa sia accaduto una volta giunta dai Draghi Ustionanti.
Per ora non è possibile poiché nel Mondo Magico questo è un periodo particolarmente importante, fatto di cerimonie ed incantesimi e le streghe hanno molto molto da fare.
A Samhain si aprono numerose porte oltre le quali vi è oscurità. Certo, vi è luce nell'oscurità, se si sa guardare... con la magia. Gualdella ne è capace, noi forse no.

Buon Halloween a tutti!!!

























giovedì 24 ottobre 2013

E che talento sia

Fanno sorridere, divertire, arrossire di vergogna (per loro), emozionare, i concorrenti dei vari international Got Talent. Seguo con piacere il nostrano ma in questi giorni mi è capitato di sbirciare su you tube alcune performances degli altri paesi. Beh, vi assicuro che vale la pena guardarli. Chi? I coraggiosi, le persone che si mettono in gioco rischiando il pubblico ludibrio o la bazzatura, anche se ad essere sinceri, di gente talentuosa ce n'è tanta e per fortuna, almeno in queste occasioni, trionfa.
Così pindaricamente cliccando sui video mi ritrovo ad assistere all'esibizione della signora inglese, appena uscita da Happy Days per il look, che dopo aver provocato sorrisini affettati e pre-compassionevoli da pubblico e giudici si mette a cantare mandando a stendere ogni commento ironico. Non sa solo cantare, ti fa venire la pelle d'oca e hai voglia di fare il tifo per lei con composte urla da stadio. Oppure c'è la bambina in tutù rosa che accenna qualche passo di danza per passare con nonchalance ad un gorgheggio da usignolo. Se poi vuoi vedere qualcosa per cui restare a bocca aperta e provare molta invidia, specie se sei di quelle che come me rompono un bicchiere al giorno, guarda il Talent ucraino del barista acrobatico che fa vorticare bottiglie, bicchieri e shakers con evoluzioni da capogiro. 
E poi i miei preferiti, gli Stavros Flatly. Padre e figlio, ballerini pittoreschi di sirtaki. Si lanciano sul palcoscenico indossando parrucche bionde ricciolute e sfoggiando orgogliosi addomi ben pasciuti. Tenerissimi per il legame forte che li unisce, simpatici, autoironici, ilari e davvero bravi. 
Cosa dire? Il talento c'è, va solo apprezzato.

giovedì 10 ottobre 2013

Profumi, oggetti e ricordi

Stamattina sono entrata in casa di Ginoria ed è stato come essere risucchiata nella macchina del tempo perché gli odori, si sa, stimolano i ricordi.
Innanzitutto la mia amica ha rispolverato la stufa in ghisa del suo or lassù zio e il profumo di legna bruciata, unito allo scoppiettio dei ciocchi ed al tepore che solo una vecchia stufa può produrre mi ha coccolata tanto quanto (anzi di più!) di una giornata in una Spa super chic. Ed eccole le immagini di me bambina che facevo i compiti mentre il nonno ogni tanto mescolava  lo spezzatino e la nonna ciabattava borbottando sull'incapacità del marito di fare qualsivoglia cosa mentre con una mano depositava fette di ananas sciroppata sopra lo strato di marmellata della crostata (diecimila calorie a fetta) e con l'altra puliva la verdura.
Ok e già qui avevo la lacrimuccia agli angoli degli occhi ma quando Ginoria mi ha proposto di preparare una bella torta margherita (quella ormai insapore per colpa della scaduta qualità degli ingredienti moderni) ed il ricordo delle galline nel pollaio che mi ostacolavano quando andavo a caccia delle uova ha invaso il mio campo visivo immaginario allora sono scoppiata in un pianto dirotto seguita a ruota dalla mia amica commossa dalla mia commozione e dal ricordo dell'atroce appuntamento della sera prima. Insomma la mia sensibilità era già stata stuzzicata a sufficienza specie dopo che Ginoria si è messa a raccontare perché l'appuntamento fosse stato atroce ma a quel punto il profumo della torta lievitante nel forno della stufa ha riallineato i chakra.
Siccome nel dolce non siamo state parche di zucchero abbiamo deciso di stare leggere a pranzo, quindi via di minestrone e l'aroma di verdura ha ripizzicato le corde della memoria con grande felicità dei dotti lacrimali.
Comunque la torta è stata un trionfo di lievitazione sbilenca, quattro dita di altezza da una parte ed un'unghia dall'altra come pure di colorazione, dorata e spazzacamino ma è il gusto che conta... appunto che gusto aveva?! Mah, galline moderne...
Per concludere, abbiamo mangiato due mandarini... Ahhh... il profumo di mandarini... mi ha ricordato di quando allineavo gli spicchi sopra la tovaglia prima di mangiarli e poi la buccia finiva a bruciacchiare sulla stufa producendo quell'aroma acidulo intorno alla tavola, chiacchiere, rumori di stoviglie, calore...
E' arrivata Rina, dice di smetterla con queste idiozie, l'unica acqua che vuole vedere è quella per il tè... portata ad ebollizione sul gas.
Certe persone te li inchiodano i chakra ma probabilmente certe volte occorre anche quello


mercoledì 18 settembre 2013

E' il caso

Non vorrei fare l'antica ma qualcuno lo deve pur dire: "Aho?! Ma l'educazione non te l'ha insegnata nessuno?". Cioè questa era la frase che i miei solevano rivolgermi quando, notare l'assonanza, io ero insolente. Oggi sarebbe il caso di trasbordarla dalla mia sfera di responsabilità a quella dei nuovi figli dei più recenti tempi.
Ovviamente non voglio essere polemica... dicevo, occorrerebbe che qualche genitore new age o magari anche old style rivanghi i sempreverdi: "Se lo fai ancora te le suono di santa ragione", "Se mi disubbidisci addio festa sabato sera", "Se dimostrerai di meritarlo, ne riparleremo... ". Mamma mia, a risentirli mi viene la pelle d'oca, più che altro perché sembrano espressioni di un periodo compreso tra il Basso Medioevo ed il Risorgimento, anche se così rifletterebbero solo il contenuto del discorso, la forma dovrebbe essere un po' più arcaica: "Ancor che ebbi rinnovata prova del tuo scarso discernimento, mi venne a mancar la speme di redimer la tua infausta indol!", "Ritiratevi nei vostri appartamenti in attesa di rinsavimento!". Al di là della formulazione l'elemento importante è che le strigliate esistevano, vivacizzavano il nucleo familiare e lo rendevano meravigliosamente unico perché il gergo, come già indicato, era a disposizione della creatività parentale.
Mi piacerebbe sapere se i nuovi adolescenti, che oggi possono arrivare a vetusta età, si dilettino anche a casa loro a spalmare pizza sulle vetrate, a lasciare bicchieri, cannucce e pezzi di frutta sul pavimento, a spiaccicare cicche e mozziconi sui muri, a far pipì e vomitare dove capita e, nel caso, se le strigliate facciano parte del disegno educativo familiare per contenere i danni.
Boh, forse sì, peccato che le suddette funzionino tra le mura domestiche ma non altrettanto attecchiscano per quanto concerne la proprietà altrui. No, tranquilli, nessuno è venuto a casa mia a far pipì in cucina però il panorama sopra descritto è quello che mi appare di solito sul luogo di lavoro, all'esterno fortunatamente anche se è un brutto vedere comunque ed è un duro colpo respirare il palpabile generale disinteresse di alcune persone verso tutte le altre, verso le altrui cose e verso gli edifici storici.
Quindi mi è concesso un: "Aho?! Ma ti hanno cresciuto i facoceri?!". E se i genitori non hanno nulla a che vedere con l'indole indomabile dei ragazzuoli, allora non resta che chiedere aiuto ad Harry Potter, credo che un: "Expelliarmus!" tanto per cominciare, andrà benissimo.

martedì 6 agosto 2013

Sarà pur sintetico

Qualcuno mi dovrebbe spiegare perché quando compro i rotoli di carta regalo riesco ad impacchettare al massimo due oggetti di grandezza media mentre quando ero ragazzina (una sparuta manciata di annetti fa), mia nonna comprava lo stesso rotolo e con il suddetto foderava i cassetti degli armadi della casa, i ripiani della credenza, confezionava doni ed il rimanente, perché avanzava, lo ritirava in attesa di altre occasioni.
Non sarò un'artista del pacchetto ma resto sempre basita quando mi rimane tra le mani il rotolo di cartone su cui erano avvolti due, dico due, isolatissimi fogli di carta... e sì che li pago come se fossero un esercito, per lo più bruttino perché, per risparmiare, di solito scelgo la fantasia tovaglia (alla fine conta ciò che è sotto la carta, no?).
Dato che mi è scoppiata la vena della nenia lamentosa, cosa dire quando apri pacchetti o barattoli e ti ritrovi ad allungare il collo per scorgere l'alimento acquistato, là in fondo, da qualche parte... considerato i prezzi dei generi alimentari ti aspetti che ti riempiano di prodotti sacchi e sacchi di juta e te li carichino in macchina in una coreografia che nemmeno al carnevale di Rio. 
Parlando di cibi mi vengono in mente anche gli gnocchi fatti in casa; una volta sembravano davvero gnocchi ora invece, quando li faccio, paiono lumache stremate dallo jogging. Ok, sento già i commenti delle mie amiche, non sai neanche far bollire l'acqua figuriamoci preparare un piatto casalingo; vero solo nel caso in cui io non abbia voglia di cucinare perché quando decido di farlo, mi riesce bene. O meglio, mi riusciva bene. E non parlatemi di fecola di patate od altri ingredienti segreti; una volta bastavano quelli tradizionali e voilà, il piatto era perfetto.   
Lo stesso problema mi sorge rimembrando la torta margherita, avevo sei anni e con uova, farina, lievito e zucchero ti sfornavo torte alte una spanna, ora la pasta lievitante non raggiunge l'orlo della teglia. Giuro che la ricetta è la stessa da anni, tramandata di madre in figlia... certo le uova erano appena uscite dal pollaio della nonna ma il resto proveniva dalla bottega del paese (tranne la marmellata di pesche o prugne, sempre la nonna). Mi fulmina la consapevolezza che solo i miei di procedimenti siano rimasti gli stessi mentre quelli del mondo esterno abbiano svoltato al sintetico.
Lo so, ero partita dalla carta regalo ma le mie associazioni di idee sono sempre state bislacche, se non altro almeno nel mio di mondo si incorporano genuinamente

sabato 20 luglio 2013

Il senso dell'organizzazione

Organizzazione, che ne è stato di te?
Ce lo siamo chieste parecchio io e le mie amiche in questi giorni. A parte Rina, infatti, nessuna di noi ne è particolarmente dotata.
Personalmente sono un disastro e mi districo tra impegni e responsabilità con l'abilità di un facocero alle prese con la stesura dei turni di lavoro degli animali della savana.
Quando mi capita di avere una mattinata libera, anziché assaporare la delizia del disporre di tempo prezioso per ordinare le incombenze e possibilmente svolgerle, scatto irrequieta da una stanza all'altra con immagini ed immagini affastellate nella mente riguardo alle azioni che potrei compiere. Pulizia della casa, no, prima la spesa, no lavatrice così stendo... no no no, precedenza al lavoro, butto giù una bozza al computer, no no no, alla fine è un hobby, dunque mi dedico a quel repulisti che mi sono sempre ripromessa di fare, alleggerisco gli armadi e butto via un po' di cianfrusaglie così posso pitturare la camera da letto finalmente... ma prima dovrei comprare la vernice... potrei approfittarne per acquistare l'armadietto di cui il mio bagno tanto necessita... certo che più urgente sarebbe...
Solitamente il peso di cotanti pensieri mi esaurisce così tanto che, benché siano circa le sei e mezza del mattino (la buona volontà c'è), mi devo stendere sul divano per permettere al cervello di ricaricarsi. Il risultato è questo collage: pisolino, rimbambimento, scelta errata delle priorità,  mattinata sprecata, irritazione selvaggia.
Per fortuna le mie amiche sono un fedele specchio della mia abilità organizzativa.
Ginoria lascia sempre scadere gli ingredienti della torta che ci ha promesso dal 2000. Non riesce ad infilare l'impasto tra i suoi impegni ed anche quando dispone di tempo libero sembra che le urgenze (localizzare le mosche ed annientarle, restituire lucentezza alla griglia del forno) la soffochino. E non si tratta di mere scuse per esimersi dal portare a termine il suo compito; i dolci sono gli unici cibi che le piace cucinare. E' che proprio non ce la fa...
Rosa sta aiutando Nella a traslocare da... non ricordo più da quando. L'indecisione sul come collocare gli scatoloni rende le operazioni complicatissime, se poi suona il telefono mentre sono intente al lavoro, la concentrazione traballa e il tutto ricomincia da capo. E comunque decidere quando incontrarsi per proseguire districandosi tra il lavoro, i genitori, il dentista, la parrucchiera, le prove dei musical, la visita di cortesia ai vicini per l'arrivo del nuovo bebè... costituisce mission impossible.
Neanche a dirlo l'unica in grado di ordire un piano ad incastro perfetto ed efficiente è Rina.
Con lei nessun minuto è sprecato; mentre taglia l'erba fissa gli appunti, mentre insulta Mario pianifica il week end; mentre fa la spesa ripassa mentalmente la collocazione dei negozi sulla strada tra il centro commerciale e casa sua per stabilire se, come e dove passare; lei ordisce, mette per iscritto e realizza.
Prometto ci proverò anch'io, anche se temo che la riabilitazione sarà lunga...

martedì 9 luglio 2013

Percezioni

Mava appoggiò le radici filamentose su un panno di cotone e con un lembo dello stesso cominciò a tamponarle delicatamente per asciugarle dopodiché cominciò a spezzettarle con le dita e le mise in un’ampia brocca. Mentre lavorava la dolce signora, sempre molto concentrata nella preparazione degli unguenti medicamentosi, lasciò questa volta che i suoi pensieri fossero altri per un po'. Sentiva che la propria realtà doveva essere conosciuta altrove, qualcuno stava apprendendo della loro esistenza passata, presente o futura; la pacata signora non poteva sapere in quale tempo si trovasse l’intrusa né in quale luogo ma non era necessario che lo sapesse, il suo cuore le suggeriva di comunicare. La propria mente sarebbe stata uno specchio nel quale guardare ed essa prese a vagare lungo la strada di terra battuta che attraversava il villaggio, tra le graziose case di legno separate le une dalle altre da bassi muretti di pietra e disposte sui due lati della via principale nella forma di due mezze lune.
L’occhio della mente vide alcune donne curve sui primi germogli del proprio orto, altre radunate intorno al pozzo costruito dai fondatori del villaggio a nord dello stesso, verso le sorgenti da cui era alimentato. I padri fondatori avevano reso sacro quel luogo per la presenza di un elemento fondamentale alla loro vita come l’acqua. Essi consideravano il pozzo mezzo di congiunzione tra gli uomini ed il grembo materno della terra di cui l’acqua era la linfa vitale. Essa indicava lo stato di salute della terra ed attraverso il pozzo il mondo sotterraneo parlava con loro.

Dalla Fucina, Mava ammiccò agli scherzi delle giovani ragazze che attendevano di attingere l’acqua, i secchi appoggiati accanto alle caviglie lambite da gonne variopinte; osservò gli uomini costruire una nuova stalla per i cavalli da vendere alla fiera dell’anno, percepì la fatica di coloro che estraevano le pietre colorate dalla cava di Melkl, nome dell’uomo che l’aveva per primo scoperta. Vide un piccolo gruppo di donne e uomini anziani intenti alla lavorazione e levigazione di quelle pietre per ottenere gli utensili di uso quotidiano, si soffermò sulle loro mani piccole e agili, sulle dita robuste abituate al lavoro manuale, sui visi bruciati dal sole, pacifici e sempre pronti al sorriso, sentì le voci dei bambini nel cortile della scuola addossata ad un lieve pendio ad ovest del villaggio; lesse il nome del villaggio stesso inciso sul tronco di una quercia abbattuta da un furibondo temporale ormai tante estati prima ed ora disteso sul ciglio della strada come un vegliardo che ammoniva i nuovi arrivati: “Attenzione, ora siete a Tefuquà ” sembrava dire.

mercoledì 26 giugno 2013

Vuoi mettere?

E' tutta un'altra storia. Già, i cartoni animati di allora erano dei mini capolavori. Per allora intendo il secolo scorso... suona tetro dirlo ma così è.
Anni '80. Brrrr, sembra di guardare nella vasca dei ricordi del prof. Silente e rimanere scioccati per quanto tempo sia passato e per la nostalgia di un periodo in cui tutto era più semplice.
Semplice restare a casa, semplice uscire, semplice fare la spesa, semplice concordare un appuntamento, fare una telefonata, guardare la tv.
Ora per fare ognuna di queste cose occorre essere tassativamente dotati di: smart-phone, iPhone, iPad, iPed, iCiap, automobile di bella, automobile da lavoro, automobile di riserva, automobile figa per figlio diciottenne, pc portatile da ufficio, da casa, da lasciare in bagno (con il cellullare), tv a schermo piatto, tv a schermo ultra piatto, dolby surround, 3D, 4F, 5D, Bee Gees, interazione con gli attori, autografo simultaneo, zumba living... ops, mi sono lasciata andare. 
Comunque, sempre che nella giungla della vita odierna si riesca ad afferrare una liana e a zigzagare tra le diavolerie moderne è possibile anche accendere la tele, una normale (la mia va messa in moto ancora con il pulsantino alla base della stessa ed ogni tanto necessita uno scappellotto per convincerla a ridarmi il sonoro) e con un po' di fortuna si ritrova qualche volto caro, non di quelli lì con i capelli a punta, i volti stilizzati, tutti uguali che sembrano automi in un mondo di automi (oh, oh... mi ricorda qualcosa... ) ma quelli con espressioni umane che si incupiscono per le brutte notizie e si illuminano per le buone. 
Ho ritrovato Lady Oscar. 
La rivoluzione francese ha invaso la mia casa e le vicende di Oscar ed André mi commuovono allo spasimo. I dettagli sono curati, date, eventi, luoghi, ambienti, la voce fuori campo ti ragguaglia sulla situazione e completa il discorso, i personaggi sono una fedele copia (con qualche licenza poetica) di quelli realmente esistiti. Conte di Fersen, contessa di Polignac, Robespierre, stati generali, assemblea nazionale, sì a tutto.
Intelligente, drammatico, strappalacrime. L'unico appunto potrebbe riguardare la sfiga; insomma si sa già che andranno quasi tutti alla ghigliottina, risparmiami almeno Oscar ed André. No, non solo non vengono risparmiati ma passano attraverso cecità e tubercolosi. 
Beh, tutto sommato però la vita è più questa che glitter, trendy, fashion, gossip, pink, sparkle, uao...
"Grande festa alla corte di Francia
C'è nel regno una bimba in più..."

giovedì 13 giugno 2013

Percezioni

Falia strinse la mano di Mava e sorrise con calore, poi prese la tazza con la bevanda scura e ne bevve un lungo sorso.
“E’ sempre speciale il tuo takquò, come te d’altronde” finì di bere poi si alzò agilmente nonostante la corporatura robusta.
“Grazie fin da ora per quello che farai” e con un ultima stretta alle dita di Mava si incamminò verso l’uscita.
La padrona della Fucina tornò dietro il bancone, prese il wakra.

Il corpo dell’Intrusa fu attraversato da potenti vibrazioni e fu sospinto in avanti. 

Mava si bloccò all’istante, stranamente sorpresa guardò il wakra. Le capitava continuamente di sentire sensazioni non proprie, di condividere emozioni di altre persone ma questo particolare momento non lo aveva mai vissuto prima. Quelli erano giorni strani, ultimamente la pacata signora era stata più volte messa in guardia da un senso di irrequietezza mentre, come in un sogno ad occhi aperti il villaggio le sfilava davanti in visioni di pace e serenità. Rimase a guardare l’oggetto con gli occhi fissi su di esso, le pupille sembrarono dilatarsi quasi a voler attraversare la materia e andare oltre, dove chiunque altro si sarebbe perso.
In pochi secondi la fronte che si era lievemente corrugata si rilassò, gli occhi tornarono a socchiudersi, gli angoli della bocca si distesero.
“Questo è bene” disse a voce alta.

 L’intrusa sentì la pace invaderle le membra come fosse avvolta nel calore di un abbraccio.

 Mava  depose delicatamente il wakra in un angolo del bancone e cominciò a lavare delle radici di gerich, un arbusto che cresceva sulle montagne a nord del villaggio, era un tipo di pianta abituata a vivere in condizioni difficili, in terreni aridi e aspri; poteva germogliare nei luoghi più improbabili e traeva dagli ambienti ostili il minimo indispensabile per poter sopravvivere. Era utilizzata spesso dalla dolce signora per intervenire sui casi di artrite, infiammazioni dei nervi o gonfiori degli arti. La fusione di radici di gerich con il succo estratto dalla corteccia di un altro arbusto, il muhn, e le foglie triturate di ravisia, una piantina dai delicati fiori rosa che cresceva accanto alle fonti d’acqua, produceva una pomata miracolosa per strappi muscolari o brutte distorsioni. Mava aveva rimesso in piedi un gran numero di persone al villaggio grazie alla sua profonda conoscenza dei segreti delle piante e della terra; l’unione di questo sapere in parte acquisito, in parte innato la rendeva una persona unica, mai completamente svelata, mai completamente capita, ma sempre stimata perché la luce che le brillava negli occhi suggeriva rispetto.

mercoledì 5 giugno 2013

Percezioni

“Tuo marito desidera occuparsi di te. La sua più grande gioia è provvedere a te. Non puoi biasimarlo se desidera continuare a fare il suo lavoro”. I profondi occhi della non comune donna si posarono sul volto roseo dell’amica. “Certo, ciò non significa che faccia bene a trascurare la propria salute”. Falia annuì con vigore come un bambino a cui è offerto un dolcetto.
“Gli esseri umani sono delle creature estremamente ingenue, credono di poter arrivare alla meta saltando le tappe. Tuo marito vuole darti serenità e per farlo sacrifica il proprio benessere che è inscindibile dal tuo” socchiuse leggermente gli occhi: “Il risultato è che non l’avete entrambi”.
Falia sospirò aggrottando leggermente la fronte: “Hai proprio ragione, siamo preoccupati l’uno per l’altra”.
“Amica mia, dì a tuo marito di passare qui questa sera, preparerò un unguento per la sua malattia”. Gli angoli della bocca di Mava si piegarono all’insù; quello che lei intendeva per malattia non era solo riferito al corpo, comprendeva un significato ben più profondo: il benessere della mente.
“E gli farò bere una tisana per sollevare dai pensieri la polvere delle sue preoccupazioni”.
La signora accanto a lei sentì il sollievo invaderle le membra, sapeva che Mava si sarebbe occupata di loro, come aveva sempre fatto con ognuno degli abitanti del villaggio o con chi avesse bisogno del suo aiuto. Si sentiva finalmente tranquilla, il suo volto contemplò quello dell’amica e le sembrò che una luce lo rischiarasse facendole brillare quegli occhi così sinceri, quasi un sole che sorge dalle profondità recondite della terra e spazza via l’oscurità nei più serpeggianti cunicoli.
Falia fu catturata da quello sguardo come le capitava spesso quando era con la padrona della Fucina, si trovava a domandarsi se era necessario parlarle perché sembrava che lei sapesse già tutto, che potesse assimilare i suoi pensieri.
“Tu sei un vero spirito della terra” non poté trattenersi dal dire una confusa Falia.
Mava sorrise nel suo solito pacifico modo, consapevole delle reazioni dell’amica di fronte a lei.
“Io amo ciò che vedo, apprendo ciò che è utile, escludo ciò che è male. E non è forse quello che fanno tutti o almeno cercano di fare? Anche tu cara Falia?” allungò una mano e l’appoggiò su quella dell’amica.
“Sei qui a chiedermi di voler bene a te e a tuo marito eliminando la sofferenza con i doni della terra”.
“Io però non parlo la lingua del vento”

“La parlerai. Tutti l’apprendono prima o poi. Per alcuni è più semplice per altri è un vero ostacolo, certi non sanno neppure di doverla imparare. Io sono stata fortunata, mi è stata donata alla nascita come fu per mia madre prima di me”.

venerdì 31 maggio 2013

La rubrica letteraria

Cate è soffocata dal pregiudizio dei pregiudizi nei suoi confronti.
Cate è intelligente, sensibile, matura, acuta e graffiante. Strizzata nei suoi 17 anni esplode nei chili del suo corpo, per lei, esagerato.
Cate, fuori dal nido rassicurante della propria famiglia, percepisce solo il mondo cinico che la sbeffeggia per il suo troppo. Non si sente accettata poiché lei rappresenta l'anti moda, l'anti bellezza, l'anti normalità.
Così Cate diventa una non persona, annulla se stessa e la propria ricca personalità per far posto al rancore verso chi le offre amicizia, amore.
Non riuscendo ad esternare l'amarezza, tradita dall'unica persona verso cui  prova ammirazione, incapace di chiedere comprensione ai propri familiari, si aggrappa ad una soluzione tragica.
Cate, rimasta al buio, per la prima volta coglie le luci intorno a sé. E sono così tante da lasciarla stordita. Sorrisi, affetti che sono sempre stati lì ma che lei non voleva vedere perché lei è grossa ed i grossi non possono avere affetti normali.
Scritto da Matteo Cellini e pubblicato da Fazi, "Cate, io", affronta un problema più che mai attuale in un mondo in cui si misura il valore umano in base al giro vita. In questo contesto spesso ci si dimentica dei giovanissimi che non possono avere la dose di autoironia necessaria per affrontare se stessi prima degli altri (spesso manca agli adulti stagionati). 
La fragilità interna a volte si può camuffare ma se è lì esposta agli occhi di tutti, visibile in un corpo magrissimo oppure obeso, in un difetto fisico o in un'imperfezione allora ogni nuovo giorno si trasforma in una nuova agonia. 
Consigliato.
Ok!

venerdì 24 maggio 2013

Spazzatura, grazie

E' notizia del telegiornale di qualche giorno fa; Norvegia e Svezia utilizzano i rifiuti per riscaldare le case, le scuole, gli uffici ma poiché coltivano al contempo la diligente arte del riciclo, tutto sommato di immondizia non ne hanno nemmeno troppa e così rischiano di restare al freddo.
Questo è davvero un problema cui non avrei mai pensato, specie sulla base di tali presupposti. 
Credevo, forse ingenuamente, che lo smaltimento dei rifiuti costituisse un grattacapo un po' per tutti i paesi, chi più, chi meno. Insomma, siamo tanti e di scarti ingombranti ne produciamo molto più di quanto siamo in grado di smaltirne in generale; è un dramma concreto, le discariche sono stracolme, per usare un eufemismo, bisognerebbe dire: sul punto di emettere gayser di spazzatura che per quantità potrebbe raggiungere lo yeti sull'Everest, comprese quelle improvvisate nelle campagne e persino nelle città. 
Certo sapevo che i paesi nordici hanno una spiccata coscienza ambientale da sempre ma davvero non avrei mai immaginato potessero essere angustiati dal dilemma della non-spazzatura. Mi pare quasi un'esagerazione.
Invece è una realtà ed i norvegesi hanno chiesto a noi un po' dei nostri rifiuti, visto che vantiamo una certa supremazia (in italia una singola persona produce circa 1,4 kg di rifiuti al giorno; considerando tutta la popolazione arriviamo ad un totale di 26 milioni di tonnellate all'anno), dopo averla già importata da altri paesi. Ragazzi, scusate, ma devo ripetere il termine importare per convincermi che sia vero ed al contempo trattenere una risata amara.
Ho sentito polemiche al riguardo perché l'operazione esigerebbe un costo da parte nostra. In effetti, verrebbe da pensare che siano i richiedenti a dover pagare la merce prelevata, ma io, dotata dell'ingenuità di Peppa Pig, sono ineluttabilmente condannata a ritenere che se il risultato fosse un paese più pulito, magari ne varrebbe la pena. Sarebbe un po' come dare un compenso per un lavoro eseguito; il lavoro va pagato no? O almeno dovrebbe essere così. Qui non si tratta di carote e cipolle ma di spazzatura che se andrebbe via da noi ed in più per il nobile compito di produrre calore e riscaldare famiglie.
Varrebbe la pena di trovare un compromesso che accontenti le parti.
Prendetela così, oggi ho deciso di salvare il mondo.













martedì 14 maggio 2013

Percezioni


Tutti avevano ormai imparato a conoscere ed apprezzare queste peculiarità della dolce signora che mandava avanti l’unico luogo di incontro del villaggio: la Fucina di Mava, così lo chiamavano.
La Fucina non era solo il posto in cui i lavoratori si fermavano a mangiare o i forestieri a rifocillarsi prima di ripartire ma era anche l’edificio religioso della comunità, l’ospedale, l’asilo e il salone delle feste.
Un piccolo mondo per una piccola comunità. La gente del villaggio viveva con ciò che la natura offriva ed era riconoscente ad essa così come poteva esserlo un bambino nei confronti dei genitori da cui era stato cresciuto ed amato; un rispetto dovuto e voluto verso un’autorità che donava e puniva, un’entità che fortunatamente sfuggiva al controllo degli esseri viventi. E questo loro lo comprendevano bene e più di tutti lo comprendeva Mava.
“Buongiorno Mava!”
“Buongiorno a te Falia. Siedi qui, ho appena preparato il takquò per oggi” disse versando il liquido nero in una tazza bassa e rotonda, dopodiché depose la caraffa in cui, per poter realizzare il takquò, aveva mischiato il liquido nero del wakra con una bevanda ottenuta dal succo di una radice rossiccia e di altre erbe di cui solo lei conosceva i nomi astrusi.
“Grazie davvero, vengo ora dalla Mano Celeste e sono proprio stanca. Mi sono alzata all’alba per accompagnare mio marito là ed aiutarlo nel suo lavoro. Lui si ostina a non ammetterlo ma soffre molto per il dolore alle ginocchia e alle caviglie ma non vuole assolutamente che io prenda il suo posto! Eppure ci sono molte donne che lavorano laggiù! E poi conosco bene il procedimento, sai che l’ho fatto per alcuni anni prima di sposarmi!”.
Mava guardò con dolcezza la donna robusta con i capelli color castagna raccolti sulla nuca in un ammasso di ricci ribelli, si avvicinò con la tazza e si sedette accanto a lei.

giovedì 9 maggio 2013

La rubrica letteraria

"Nessuno sa di noi" è il titolo del libro di Simona Sparaco, pubblicato da Giunti, uno tra i candidati al premio Strega di quest'anno.
Di solito non amo leggere libri che trattano argomenti psicologicamente toccanti, non tanto per leggerezza ma perché potrei stare piuttosto male (se già mi commuovono i cartoni animati... ) ma quando il libro è scritto bene, allora il magone rimane sospeso sopra le righe, sopra le parole mentre tu vieni inghiottita dalla storia e vuoi sapere cosa succederà, come i fatti verranno affrontati, cosa avresti fatto tu in quella situazione e soprattutto ti soffermi a pensare almeno per un attimo alle persone che ci sono già passate.
L'argomento è l'aborto terapeutico ed io come donna ho vissuto la vicenda di Luce, la protagonista, con grande partecipazione emotiva. Mentre leggevo, ero lì, nell'appartamento di Luce e Pietro a voler dare una mano, magari consigli, se avessi saputo cosa consigliare. I bambini dovrebbero stare bene, sempre e comunque, anche quando non sono ancora nati, il sapere che possano non esserlo, che una volta nati non avranno la possibilità di correre, saltare, fare i bambini perché fisicamente impossibilitati a farlo, destinati ad una vita breve e dolorosa, è qualcosa di lacerante. Anche solo parlarne sembra ingiusto e sbagliato, come si fa a decidere l'indecidibile?
Profondo, umano, ben raccontato, al punto che è stato difficile mettere da parte il libro per dedicarsi ad altre faccende.
Ok.. issimo

"Quattro etti d'amore, grazie", di Chiara Gamberale, Mondadori è il racconto di due vite attraverso le parole delle stesse loro protagoniste: Tea ed Erica.
Tea l'attrice, la magra, l'affascinate protagonista di un'esistenza dorata, secondo la visione di Erica che la osserva di nascosto quando ha occasione di incrociarla nel suo stesso supermercato ed Erica, la donna baciata dalla sorte, moglie felice, madre orgogliosa, cuoca superlativa, nella mente di Tea che l'ha persino soprannominata signora Cunningham, la casalinga perfetta.
Entrambe si sbirciano timide senza mai parlarsi, senza mai conoscersi veramente, eppure ognuna con un'opinione ben precisa su come debba essere meravigliosa la vita dell'altra.
Ovviamente nessuna delle due donne può in realtà vantare una tal fortuna, anzi i problemi sono tanti, gli strascichi emotivi di adolescenze difficili, traumi, mal di vivere scuotono le menti, maltrattano i cuori... proprio di entrambe.
Insomma, "l'erba del vicino è sempre più verde", il tutto narrato non sempre con fluidità e scorrevolezza; spunti brillanti che fanno riflettere ma che a volte si perdono nelle  parole stesse, secondo il mio modestissimo parere.
Attendo altri punti di vista!
Ok... meno.



mercoledì 1 maggio 2013

Percezioni


Un lungo bancone di legno occupava un lato della stanza, dietro ad esso, su una serie di mensole, stavano ben ordinate tazze di diverse dimensioni, bicchieri di vetro colorato, teiere dalle fogge bizzarre con manici a forma di fiore o albero, dal collo allungato come quello di un regale cigno o molto panciute, tutte con variegate tinte pastello. Accanto alla tenda blu che separava la sala dalla cucina un’enorme credenza conteneva tegami, ciotole e recipienti in terracotta che alla vista apparivano azzurrati così come i vetri delle ante dietro cui erano disposti.  Su alcuni scaffali a lato della credenza erano allineati barattoli rotondi ottenuti da una pietra dura e levigata simile ad alabastro. Nonostante fossero chiusi da coperchi rotondi a forma di pagnotta dai barattoli fuoriuscivano aromi stuzzicanti e pungenti di spezie, erbe, piante medicinali. O almeno questa era l’impressione degli avventori ma in realtà solo Mava sapeva esattamente cosa contenessero i recipienti; essi non recavano etichette o segni di riconoscimento particolari  ma lei non ne aveva bisogno, ne sentiva l’essenza attraverso le narici, sulla pelle.
Più di una volta qualche ragazzino aveva spostato per burla uno di quei barattoli nascondendolo in cucina o in uno degli scaffali chiusi dietro il bancone sperando di  vedere Mava perdere la sua naturale tranquillità e scervellarsi alla ricerca del prezioso oggetto, ma erano rimasti sempre delusi perché la placida donna andava sempre a colpo sicuro nel luogo dove era stato riposto segretamente come se lo avesse messo là lei stessa, senza nemmeno voltarsi a guardare il ripiano dove era naturale che stesse e dove era sempre stato.

giovedì 18 aprile 2013

Percezioni



Mava prese il cucchiaino nero e per un secondo lo tenne a mezz’aria guardandosi intorno poiché credette di sentire qualcuno parlarle ma la delicatezza dell’operazione che stava compiendo la riportò al proprio lavoro rimandando a più tardi la riflessione sull’accaduto, intinse il cucchiaino nel wakra nero di fronte a sé, nel liquido nero che in esso era contenuto; due giri verso destra, tre giri verso sinistra, una linea diagonale ed una verticale estraendo il cucchiaino dal recipiente… tre gocce ricaddero in esso. Perfetto!
La mano bruna della donna ora afferrò un coperchio simile a quello di una zuccheriera e lo posò sul contenitore. Le lunghe dita nodose di Mava indugiarono sul coperchio, i polpastrelli premuti sulla sua superficie liscia; lentamente il calore del liquido oltrepassò la barriera: l’operazione era conclusa. Una ragnatela di rughe sottilissime si allargò sul viso non comune della donna all’appressarsi di un sorriso, un ammiccamento soddisfatto per la riuscita del suo lavoro; era la massima espressione di felicità di Mava, lei non rideva mai apertamente, né scoppiava in risa sguaiate, lei semplicemente sorrideva. Gli occhi neri, profondi come antri cavernosi di luoghi inesplorati  nascondevano mistero, comunicavano saggezza, sprigionavano vigore. Riscaldano quando tremi, rinfrescano quando deliri, così soleva dire sua madre chissà quanti anni prima; ecco un’altra donna solida, vigorosa come il suo takquò,  il takquò che offriva alla gente.
Mava, tenendo i manici del wakra, due contorti segmenti bianchi orizzontali, si mosse verso una tenda blu scuro, con una spalla spostò a lato il tessuto ruvido passando nella stanza attigua.  
Da tre grandi finestre rettangolari la luce penetrava nella camera, le pareti giallo ocra lambite dai raggi del sole apparivano dorate, massicci tavoli di legno erano sparpagliati in tutto lo spazio disponibile, quelli accanto alle finestre avevano le estremità arrotondate; su ognuno di essi erano posati al centro dei vasetti di terracotta contenenti delle piantine dai rametti verdi e piccole foglie a cuoricino, nei punti di attaccatura delle foglie ai rametti spuntavano fiorellini gialli, minuscole stelle che sembravano bere la luce del giorno restituendola purificata.

venerdì 12 aprile 2013

Oroscopo di primavera... per quando arriverà

ARIETE: deponi il grugno, sei scoraggiante persino per il Dalai Lama.

TORO: sospendi le cene caloriche e dàtti all'ortaggio, l'acidità di stomaco andrà in vacanza.

GEMELLI: gli ostacoli sono da saltare non da centrare.

CANCRO: fai una crostata di lamponi.

LEONE: àpriti alla possibilità di nuovi amori.

VERGINE: sostituisci OM al Vaffa sia a casa che al lavoro.

BILANCIA: prendi lezioni di equitazione, un rodeo ti aspetta.

SCORPIONE: il bicchiere può essere mezzo pieno, non solo crepato, vuoto o bucato.

SAGITTARIO: una pasta al ragù risolverebbe tutti i tuoi problemi.

CAPRICORNO: rottama l'umore vecchio e produci il nuovo.

ACQUARIO: riposa e sorridi, ti aspettano miracoli.

PESCI: torna bambino, mangia con le mani e guarda i cartoni animati, il sole brillerà.



domenica 31 marzo 2013

martedì 26 marzo 2013

La rubrica letteraria

Euphemia Chalmers Gray è semplicemente Effie per il resto del mondo. Non un mondo qualunque ma quello vittoriano dove uno sguardo malizioso è indice di licenziosità inaudita. E' un periodo in cui risulta facile parlare di scandalo, altrimenti come si potrebbero indossare le modaiole espressioni di condanna da sfoggiare nei salotti eleganti o nelle affollate sale da ballo? "Ha flirtato con tutti i signori presenti", "Le sue risate erano alquanto inopportune"; se poi tali comportamenti guidano le azioni di una giovane donna molto bella, la decenza è messa a dura prova. Solo che Effie non si limita ad essere vivace, arguta e brillante come la propria natura le impone, lei continua ad esserlo anche dopo il matrimonio con John Ruskin, importante critico d'arte della Londra di metà ottocento. Sì perché Effie è anche ambiziosa e capisce che John potrebbe darle la possibilità di mettersi in gioco per usare un 'espressione moderna; di non restare confinata in una casa a fare la brava moglie e la perfetta padrona di casa; lei ha la possibilità di farlo sfruttando la propria cultura, la propria eleganza, la propria abilità nell'intrattenere gli ospiti con conversazioni intelligenti e maniere squisite. Il successo sociale di Effie è indiscutibile, sotto il suo tetto si riuniscono le più acute menti dell'epoca, pittori, scrittori, critici d'arte; viene persino presentata alla regina Vittoria.  L'ombroso marito si sente lusingato dall'abilità della moglie di saper richiamare e gestire personalità di quel calibro, anche se non mancano i pettegolezzi, le dicerie, le malignità. Le qualità di Effie sono un'arma a doppio taglio, se da un lato le danno prestigio, dall'altro rischiano di danneggiare la sua reputazione. Anche perché sempre più spesso si presenta sola alle feste, concede balli a tutti i signori in sala ammaliati dalla sua bellezza e dalle sue incantevoli maniere, spesso passeggia con loro senza chaperon e le congetture ricamate intorno non sono certo lusinghiere.
Peccato la gente non sappia che di Effie tutto si possa dire tranne che sia licenziosa; non solo non ha mai avuto un amante ma, in sei anni di matrimonio, non ha mai condiviso l'intimità coniugale con il marito che si rifiuta di toccarla impedendole di essere benedetta dalla gioia di un figlio. Logorata da questa situazione Effie potrebbe scegliere di tornare semplicemente dai propri genitori lasciando il marito, imponendosi una vita ritirata in campagna senza sollevare scandali oppure può decidere di ricominciare da capo, di vivere quella parte di vita che gli è stata negata fino ad allora. Per farlo, però deve pagare il prezzo dello scandalo, deve rivelare in un tribunale i dettagli intimi della propria vita coniugale e se già prima i pettegolezzi la seguivano come le lunghe code dei suoi abiti...
Suzanne Fagence Cooper ha scritto un libro piacevole ed intrigante: "Effie. Storia di uno scandalo", pubblicato da Neri Pozza. 
L'autrice, studiando a lungo lettere e carte appartenenti alla famiglia di Effie, collezioni vittoriane e arte preraffaellita è riuscita a farmi appassionare alla vita di questa donna e del suo mondo che la Cooper ricostruisce con scrupolosa attenzione senza tuttavia cadere nell'eccesso descrittivo, amalgamando vicende personali e sociali con abile equilibrio.
Consigliato!

giovedì 14 marzo 2013

Evviva le maestre!

Ultimamente ho avuto la possibilità di lavorare, come collaboratrice esterna, con maestre e bambini delle scuole elementari e di tutti loro sono rimasta estasiata. 
I bambini sono energia, intelligenza, istinto, sensibilità, genuina malizia, curiosità e potrei andare avanti per un po' senza riuscire a dare una definizione completa. 
Forse sono eccessivamente ottimista ma a guardarli mi scaturisce il pensiero che ci sia ancora qualche speranza di uscire da questo periodo nero e di affidare il nostro mondo nelle piccole mani di qualcuno che, da grande, saprà fare il giusto senza inseguire il solo obiettivo di laute ricompense o di prestigio.
E se ciò accadrà il merito sarà anche di certe maestre che, lavorando con i bambini ogni giorno, cercano di inculcare i sani vecchi valori: solo la fatica premia, non c'è altro mezzo soddisfacente per raggiungere i propri obiettivi perché è l'unico che riesce ad appagare una persona completamente; lottare per ottenere, rispettare per farsi rispettare. Il tutto può apparire trito e ritrito ma alla luce del panorama politico che ci circonda viene da pensare che invece certi concetti andrebbero ripetuti di più e che forse alcuni degli adulti attuali non se lo sono sentiti ripetere abbastanza, o magari per niente. E qui si spiegherebbero molte cose.
Senza nulla togliere ai genitori a cui spetta il sentiero più minato, un evviva va alle maestre che escono afone dalle classi in cui hanno dovuto tenere a bada non un'energia qualunque ma quella dei bambini, di tanti bambini, quella mista ai perché? Mi son stufato! Posso andare al bagno? Non ho capito! Lo rileggiamo? E' l'intervallo!
E grazie a tutto ciò nei prossimi anni, come ho estrapolato da un mini sondaggio, avremo biologi, veterinari, scienziati, piloti, disegnatori di lego, batteristi, cantanti, scrittori, cuochi ed anche calciatori... ottimi o pessimi ancora non si sa, di certo c'è che le basi umane e didattiche su cui costruire qui ci sono.
Una curiosità, nessuno ha manifestato il desiderio di diventare politico nonostante in questi ultimi tempi se ne sia detto parecchio di stipendi da favola per occupare una seggiola; ottima partenza, probabilmente tra di loro ci saranno eccellenti ministri.

venerdì 8 marzo 2013

Percezioni


Spostando lo sguardo su alcuni ripiani alla sua destra la giovane donna fu attratta da qualcosa di bianco che spiccava tra due barattoli rossastri per la ruggine; si avvicinò incuriosita. Giunta di fronte alle mensole le sue narici furono riempite da una fragranza di spezie. Cannella? Peperoncino? Noce moscata? Alzò gli occhi verso l’oggetto bianco che aveva intravisto, da lontano e nella penombra non si era resa conto della sua particolarità, un bastoncino bianco orizzontale contorto come una radice attaccato a… l’Intrusa spostò il suo peso sulle punte dei piedi per avvicinarsi e vedere meglio. Un recipiente nero come il carbone, lucido, un po’ più grande di una tazza da té, più panciuto e con un coperchio nero. Forse una capiente zuccheriera. Osservandolo con attenzione si accorse che anche dall’altra parte, simmetrico al primo, il contenitore aveva quella sorta di manico a radice, non lo aveva notato prima poiché era in parte coperto dal barattolo arrugginito e contrariamente all’altro aveva un colore scuro; decise di voler toccare il bizzarro oggetto, allungò una mano e lo prese delicatamente, lo avvicinò al volto tenendolo con entrambi i palmi.  Il vocio intorno a sé aumentò intollerabilmente finché…



mercoledì 27 febbraio 2013

Percezioni


All’improvviso il ronzio cessò e dopo pochi secondi di assoluto silenzio fu sostituito da uno strano accordo di sussurri, sibili, vocii che udiva ora più vicini ora più lontani. L’Intrusa non poteva cogliere il significato delle parole ma ne sentiva i suoni, un alternarsi di note acute e fruscii appena percettibili; le sfioravano il volto, i capelli, il collo come granelli di sabbia sollevati dal vento. 
Inspiegabilmente la profonda paura di poco prima si dissolse lasciando il posto ad un’innaturale senso di tranquillità.
“E’ evidente che devo sapere altro” disse a sé stessa, alle voci e chissà, forse all’intera stanza.
Mosse qualche passo in avanti, le scarpe dal tacco basso lasciarono le proprie impronte sullo strato di polvere che ricopriva il pavimento di legno. Mentre si muoveva poteva captare le onde di cui era stata fatta bersaglio non appena era entrata in quel luogo, piccole scosse che si intensificavano avvicinandosi a questo o a quell’arredo, accessorio o utensile, scatti di energia che le provocavano vibrazioni lungo tutto il corpo e che si andavano ad unire al brusio nell’aria.
L’intrusa procedette con cautela nel labirinto di oggetti cercando di non toccare nulla ma inevitabilmente il piede incontrava un ostacolo, la gonna lambiva l’anta di un malandato armadio, il gomito urtava una lampada appoggiata su uno sgabello, la guancia sfiorava il ruvido tessuto di un vestito appeso ad un gancio sporgente dal soffitto che, ne era sicura, un minuto prima non c’era; ad ogni contatto le vibrazioni si accentuavano, le piccole scariche elettriche le pungevano la pelle costringendola ad allontanarsi, per quanto fosse possibile.
Ma a dire il vero lei ora non voleva allontanarsi, voleva restare proprio lì, non si sentiva più intrappolata anche se di fatto lo era, l’unica via d’uscita era stata cancellata, ingoiata dalla stanza ed anche se l’Intrusa avrebbe avuto tutti i motivi per essere terrorizzata, adesso non desiderava più andarsene, era come se ci fosse un tacito accordo tra lei e quel piccolo spazio così affollato di cose apparentemente inanimate e sensazioni che le animavano. Sarebbe uscita al momento giusto quando avrebbe trovato e quando avrebbe capito.  

venerdì 15 febbraio 2013

Mica male 'sto Django

Sapevo sarebbe stato violento, ormai lo sanno tutti, con Tarantino il realismo è crudo, amplificato attraverso vari strati di ribrezzo che, se superati, sfociano nella rassegnata accettazione della scena, magari accompagnata da un sorriso accondiscendente; di quelli riservati ai bambini che ne hanno appena fatta una grossa ma che vanno a scovare una spiegazione così fantageniale da lasciarti arrabattare divertita nella tua esasperazione. Anzi forse mi ero aspettata di peggio, invece i fiotti di sangue che innaffiavano il paesaggio non sono stati più macabri del rumore di ossa spezzate o di ciò che si lasciava all'immaginazione senza mostrarlo direttamente.
Al di là della mia avversione per la violenza, ho gustato Django Unchained. Adorabile il personaggio di Christoph Waltz, il dottor King Shultz, dentista convertito in cacciatore di taglie; simpatico, raffinato, pungente e paterno tiene per mano Django, il protagonista interpretato da quel bel maschione di Jamie Foxx, liberandolo dalla schiavitù per poi insegnargli il mestiere ed aiutarlo nella ricerca della sposa perduta Broomhilda, Kerry Washington. 
Arrivare in una tenuta regale in quel profondo sud dove la schiavitù è regola e scontrarsi con il cattivone di turno, il padrone di casa Calvin Candie, ovvero Leonardo di Caprio, è questione di minuti conditi da sana ironia, musiche d'autore, bravura interpretativa ed ovviamente fiumi di sangue su pareti candide.
In più, battute giuste al momento giusto, natura di rara bellezza, Samuel Jackson magistrale...
Nonostante la stanchezza, ho gustato quasi tre ore di western senza annoiarmi.
Anzi...

Locandina Django Unchained

www.mymovies.it

Percezioni


L’Intrusa rimase per un tempo imprecisato seduta sulla vecchia poltrona mentre i suoi respiri da corti e affannosi riprendevano un ritmo lento e più rilassato. Sentì la testa finalmente leggera sull’esile collo, non più intrappolata tra due tenaglie di ferro che le impedivano di muoversi naturalmente e persino di pensare coscientemente. Di chi erano quei pensieri? Chi erano Margareth e Lady Carvorn?Perché ho  provato quelle sensazioni? Io ho davvero avuto paura, ho odiato Margareth e le ho voluto bene! Ero terrorizzata all’idea dello scandalo, di perdere Gregory come legittimo nipote! Io ho amato quel bambino... io ero… ero Lady Carvorn! La donna si guardò intorno confusa, tutto sembrava paradossalmente normale, la stanza appariva com’era al suo arrivo, gli oggetti giacevano in disordine tutt’intorno a lei; la debole luce della giornata piovosa continuava a filtrare dalla finestra in alto dietro le sue spalle, il ticchettio delle gocce d’acqua era l’unico rumore che le sue orecchie riuscivano a cogliere.
Un impulso improvviso spinse l’Intrusa ad alzarsi, in realtà non credeva che le sue gambe potessero reggerla ma la poltrona era diventata troppo scomoda e in una frazione di secondo si trovò in piedi. Lasciò vagare lo sguardo intorno a sé, ora aveva quasi l’impressione che gli oggetti fossero aumentati, ma come poteva quella piccola stanza contenere una tale quantità di cose? Stipata all’inverosimile, all’Intrusa sembrò una signora d’altri tempi che nella toeletta avesse esagerato con il belletto e gli accessori. Gli occhi della donna scivolarono sugli oggetti accatastati, infilati, rovesciati, appesi… ma cosa c’era di diverso? Una terribile constatazione la fece sobbalzare: non c’era più la porta! La porta dalla quale era entrata poco prima… o forse molto prima. Era lì dove ora ci sono quelle mensole! C’era un ingresso! Altrimenti come avrei fatto ad entrare?  Per  un attimo il panico ebbe il sopravvento poi a poco a poco un ronzio crescente le attraversò le orecchie fino ad invaderle la testa.
“Sono una prigioniera” disse lentamente ad alta voce. La pioggia sembrava aumentare di intensità, le gocce cadevano precipitosamente tictictictictictic...

mercoledì 6 febbraio 2013

Cuore di chiacchiere

Nella stava tagliando il polpettone, Rina stava finendo di insultare Mario al telefono e Ginoria teneva il proprio piatto a ridosso della teglia per essere la prima a riceverne una porzione. Io tentavo di spegnere la televisione per poter pranzare tutte insieme senza la pubblicità dei prodotti per il water o qualcuno che si ispezionava i denti direttamente sotto il naso. Avevo schiacciato tutti i bottoni del telecomando, per me la televisione di Nella resta un mistero e fino ad allora era riuscita solo a cambiare luminosità, formato dell'immagine, posizione dei canali e forse altro ma fortunatamente l'aggeggio si è spento, cioè, diciamo che si è oscurato. Comunque, nel ronzio ordinato del quadretto familiare si è incuneata la voce di Rosa: "E chi l'ha detto?!" ha urlato. L'abbiamo guardata tutte con piccoli e tondi punti interrogativi al posto degli occhietti. Lei ha incrociato le braccia e ha continuato a parlare come se fosse da sola. "Non è mica scontato, anzi! E poi va a rotoli oppure è solitudine, dunque cos'è meglio?". E dopo aver increspato profondamente la fronte, si è messa a ridere. Nessuna di noi si è preoccupata, è un comportamento naturale per Rosa, pensare a voce alta, dire la prima cosa che le passa per la testa (siamo tutte accomunate da ciò), non ascoltare i discorsi degli altri, non prestare particolare attenzione al contesto in cui si trova, rispondersi da sola e così via. Quando la cosa si verifica, di solito è Rina a riportarla alla realtà con il suo infinito tatto... In questo caso le ha messo il cellulare accanto all'orecchio e lo ha fatto squillare. Rosa è tornata da noi serenamente come se lo squillo acido al massimo volume fosse stato un dolce cinguettio. 
"Uhm! Che buono dev'essere! Gnam gnam!" ha detto puntando il polpettone ma Ginoria le ha morsicato la mano prima che prendesse la porzione destinata a lei. "Ma sei scema?!" ha gracchiato.
"Sì, io! Bella Addormentata in cucina! Ti dispiace spiegare il momento psicotico di poco fa?". Rosa ha sospirato.
"La persona che ami e che ti ama è necessariamente la persona giusta per te?". Battito di quattro paia di ciglia, più un giro completo di occhi, quelli di Rina. Eravamo sorprese di un'uscita così da parte di Rosa che è single. "E' possibile che la persona realmente giusta per te possa essere qualcuno che non ti fa svolazzare le farfalle nello stomaco?".
"Ti prometto che non parlerò mai più di Mario" si è intromessa Rina. "Però torna ad essere una single con le rotelle quasi a posto".
"La mia collega era servita e riverita da un uomo dolce, affettuoso, amante dei bambini, ottimo cuoco, spiritoso... ma a lei non piacevano i suoi pettorali, diceva che assomigliavano a pattine pelose. Così lo ha lasciato" ha raccontato Nella.
"Mi sembra una buona ragione" ha commentato Rina.
"Beh, non saprei" sono intervenuta io. "Ci sono quelle a cui svolazzano le farfalle per i primi due o tre anni e poi si ritrovano con fossili nel colon" ricollegandomi alla prima osservazione di Rosa.
"Non credo abbia fatto bene, però se la cosa la disturbava veramente tanto, meglio sola che con l'incubo delle pattine", ritorno di Ginoria sul commento di Nella.
"Un'amica di mia madre, da giovane si è innamorata di un guru della meditazione in travaglio spirituale e del suo migliore amico pasticcere. Non sapeva chi scegliere per cui li frequenta ancora entrambi". Rina ovviamente.
"Riassumendo: meglio un uomo raro con cui stai bene ma di cui non ti senti innamorata oppure un altro del quale sei persa ma che non ti comprende a fondo?" ricapitolò Rosa.
"Se ti ama ti capisce" Nella.
"O ti sopporta" Rina.
"Quindi amore è sopportazione?" chiedo.
"Anche" Rosa.
"Ma non solo" Ginoria.
"E il non amore allora cos'è?" Rina.
"Rispetto?" Nella.
"Sì ma anche l'amore lo è" Io.
"Dunque l'amore e il non amore si equivalgono" Rosa.
Silenzio.
"Passami il polpettone và". Ginoria.


giovedì 31 gennaio 2013

Chi ha pane...

Rina è molto depressa. E come potrebbe essere altrimenti? Il problema in effetti c'è: Mario la ama.
"Certo, non è il primo che me lo dice ma Questo Qui sembra serio!" polemizza. Dunque ha richiesto l'intervento del Circolo Polare Artico, vale a dire noi amiche, per avere consiglio.
Diciamo che, se si aspettava solidarietà, non l'ha avuta. Io e Ginoria abbiamo dovuto trattenere Rosa pronta a scaraventarsi su di lei.
"Un così bravo ometto! Servizievole e innamorato! Ma cosa vuoi di più? Megera!". Il fatto che sia single (o singola, come dice la signora Mirka) da qualche manciata di anni, deve aver contribuito alla cernita delle parole. Rina l'ha guardata come se fosse stata un'iguana in tanga inviperita dalla cancellazione del proprio volo aereo.
"Ma cosa sta dicendo? Ha bevuto il colluttorio?" esclama Rina. Abbiamo rinunciato al tentativo di spiegarle quanto sia fortunata e che molte donne si farebbero fare le meches dall'alito di un orango ubriaco pur di avere un uomo che le ami al loro fianco, pronto a compiacerle in ogni loro desiderio poiché Rina è abbastanza testarda, giusto un tantino.
"Dovrei essere felice di convivere?! Spazi drasticamente ridotti? Cibo raddoppiato? Bagno occupato? Domeniche in tandem?! Ma siete rintronate?!". Nella si è lasciata cadere a peso morto sul pavimento per lo scoraggiamento e Ginoria ha bevuto sette tazze di tisana al geranio prima di guardare Rina negli occhi e di porle l'inconcepibile domanda:
"Scusa, ma tu lo ami?". Rina ha fissato il viso dell'interlocutrice con gli occhi di una trota dopo quattordici ore di break dance. "Ma dico, che razza di domanda è?!".
"Rispondi!" la incalzo io. Con lei bisogna essere determinate certe volte.
"Sù! Sputalo!" mi spalleggia Nella.
Rina tutto fuorché spaventata scoppia a ridere. "Eppure siete grandi! L'amore che intendete voi vecchie romanticone, non esiste! Provo una moderata affezione per qualcuno che potrebbe diventare un convivente part-time! E sono fortunata! Pensate a quelle sposate che se li devono tenere in casa tutti i giorni", grassa risata, "fingendo che siano graditi e magari li riproducono anche!". Doppia grassa risata.
Mi chiedo perché le filosofe dark age come lei trovino gli uomini giusti mentre le romanticone sfigate come noi sbavino davanti ai film d'amore lacrimando su pane e nutella.
Il dibattito è aperto.




giovedì 24 gennaio 2013

Percezioni


Lady Carvorn irrigidì le braccia e facendo leva con i gomiti sui braccioli della poltrona cercò di alzarsi. 
“Passami il bastone” sbottò severamente. La nuora, ancora in ginocchio, raccolse il bastone caduto a terra durante la loro discussione e lo passò alla donna che, issatasi in piedi con fatica, cominciò ad avanzare verso l’uscita.
Margareth sentì la mano della ricca signora cercare a tentoni, nell’oscurità della camera, la maniglia della porta; al suo aprirsi una lama di luce si intrufolò all’interno.
“Tu sei sua madre ma io sono ancora la padrona di questa casa e tale rimarrò fino alla morte. Posso decidere dell’educazione di Gregory e nemmeno mio figlio può intromettersi. Non crederà mai che possiamo aver collaborato in questa circostanza. Conosce la natura dei nostri rapporti... se ne è servito spesso come arma contro di te” la voce dell’anziana donna tremolò. Margareth percepì nelle sue parole la prima manifestazione di solidarietà e forse anche di affetto rivoltale dalla suocera.
Subito ripresasi e senza voltarsi disse con voce ferma: “ Non dovresti pensare alle possibili funeste conseguenze, rallegrati piuttosto del fatto che ci sia una soluzione. Una soluzione Margareth”.
Detto ciò uscì silenziosamente risucchiando il fascio di luce di nuovo all’esterno.
Margareth sentì il suo passo zoppicante lungo la torva galleria, i battiti del proprio cuore cominciavano finalmente a rallentare la loro corsa quasi adattandosi al passo cadenzato della vecchia signora.
Una soluzione… Margareth rimase a lungo inginocchiata nel buio davanti alla poltrona vuota, gli occhi spalancati a fissare forse, un lontanissimo puntino bianco.


     


giovedì 17 gennaio 2013

Merenda Calorica della Nonna

Panino, riempito di prosciutto, alternato con strati di insalata russa.
Cioccolato
Banana
Spremuta d'arancia
Fetta di torta ricoperta di marmellata ed ananas sciroppata.
Attendete almeno un'ora prima di cenare.