martedì 14 maggio 2013

Percezioni


Tutti avevano ormai imparato a conoscere ed apprezzare queste peculiarità della dolce signora che mandava avanti l’unico luogo di incontro del villaggio: la Fucina di Mava, così lo chiamavano.
La Fucina non era solo il posto in cui i lavoratori si fermavano a mangiare o i forestieri a rifocillarsi prima di ripartire ma era anche l’edificio religioso della comunità, l’ospedale, l’asilo e il salone delle feste.
Un piccolo mondo per una piccola comunità. La gente del villaggio viveva con ciò che la natura offriva ed era riconoscente ad essa così come poteva esserlo un bambino nei confronti dei genitori da cui era stato cresciuto ed amato; un rispetto dovuto e voluto verso un’autorità che donava e puniva, un’entità che fortunatamente sfuggiva al controllo degli esseri viventi. E questo loro lo comprendevano bene e più di tutti lo comprendeva Mava.
“Buongiorno Mava!”
“Buongiorno a te Falia. Siedi qui, ho appena preparato il takquò per oggi” disse versando il liquido nero in una tazza bassa e rotonda, dopodiché depose la caraffa in cui, per poter realizzare il takquò, aveva mischiato il liquido nero del wakra con una bevanda ottenuta dal succo di una radice rossiccia e di altre erbe di cui solo lei conosceva i nomi astrusi.
“Grazie davvero, vengo ora dalla Mano Celeste e sono proprio stanca. Mi sono alzata all’alba per accompagnare mio marito là ed aiutarlo nel suo lavoro. Lui si ostina a non ammetterlo ma soffre molto per il dolore alle ginocchia e alle caviglie ma non vuole assolutamente che io prenda il suo posto! Eppure ci sono molte donne che lavorano laggiù! E poi conosco bene il procedimento, sai che l’ho fatto per alcuni anni prima di sposarmi!”.
Mava guardò con dolcezza la donna robusta con i capelli color castagna raccolti sulla nuca in un ammasso di ricci ribelli, si avvicinò con la tazza e si sedette accanto a lei.

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