mercoledì 27 febbraio 2013

Percezioni


All’improvviso il ronzio cessò e dopo pochi secondi di assoluto silenzio fu sostituito da uno strano accordo di sussurri, sibili, vocii che udiva ora più vicini ora più lontani. L’Intrusa non poteva cogliere il significato delle parole ma ne sentiva i suoni, un alternarsi di note acute e fruscii appena percettibili; le sfioravano il volto, i capelli, il collo come granelli di sabbia sollevati dal vento. 
Inspiegabilmente la profonda paura di poco prima si dissolse lasciando il posto ad un’innaturale senso di tranquillità.
“E’ evidente che devo sapere altro” disse a sé stessa, alle voci e chissà, forse all’intera stanza.
Mosse qualche passo in avanti, le scarpe dal tacco basso lasciarono le proprie impronte sullo strato di polvere che ricopriva il pavimento di legno. Mentre si muoveva poteva captare le onde di cui era stata fatta bersaglio non appena era entrata in quel luogo, piccole scosse che si intensificavano avvicinandosi a questo o a quell’arredo, accessorio o utensile, scatti di energia che le provocavano vibrazioni lungo tutto il corpo e che si andavano ad unire al brusio nell’aria.
L’intrusa procedette con cautela nel labirinto di oggetti cercando di non toccare nulla ma inevitabilmente il piede incontrava un ostacolo, la gonna lambiva l’anta di un malandato armadio, il gomito urtava una lampada appoggiata su uno sgabello, la guancia sfiorava il ruvido tessuto di un vestito appeso ad un gancio sporgente dal soffitto che, ne era sicura, un minuto prima non c’era; ad ogni contatto le vibrazioni si accentuavano, le piccole scariche elettriche le pungevano la pelle costringendola ad allontanarsi, per quanto fosse possibile.
Ma a dire il vero lei ora non voleva allontanarsi, voleva restare proprio lì, non si sentiva più intrappolata anche se di fatto lo era, l’unica via d’uscita era stata cancellata, ingoiata dalla stanza ed anche se l’Intrusa avrebbe avuto tutti i motivi per essere terrorizzata, adesso non desiderava più andarsene, era come se ci fosse un tacito accordo tra lei e quel piccolo spazio così affollato di cose apparentemente inanimate e sensazioni che le animavano. Sarebbe uscita al momento giusto quando avrebbe trovato e quando avrebbe capito.  

venerdì 15 febbraio 2013

Mica male 'sto Django

Sapevo sarebbe stato violento, ormai lo sanno tutti, con Tarantino il realismo è crudo, amplificato attraverso vari strati di ribrezzo che, se superati, sfociano nella rassegnata accettazione della scena, magari accompagnata da un sorriso accondiscendente; di quelli riservati ai bambini che ne hanno appena fatta una grossa ma che vanno a scovare una spiegazione così fantageniale da lasciarti arrabattare divertita nella tua esasperazione. Anzi forse mi ero aspettata di peggio, invece i fiotti di sangue che innaffiavano il paesaggio non sono stati più macabri del rumore di ossa spezzate o di ciò che si lasciava all'immaginazione senza mostrarlo direttamente.
Al di là della mia avversione per la violenza, ho gustato Django Unchained. Adorabile il personaggio di Christoph Waltz, il dottor King Shultz, dentista convertito in cacciatore di taglie; simpatico, raffinato, pungente e paterno tiene per mano Django, il protagonista interpretato da quel bel maschione di Jamie Foxx, liberandolo dalla schiavitù per poi insegnargli il mestiere ed aiutarlo nella ricerca della sposa perduta Broomhilda, Kerry Washington. 
Arrivare in una tenuta regale in quel profondo sud dove la schiavitù è regola e scontrarsi con il cattivone di turno, il padrone di casa Calvin Candie, ovvero Leonardo di Caprio, è questione di minuti conditi da sana ironia, musiche d'autore, bravura interpretativa ed ovviamente fiumi di sangue su pareti candide.
In più, battute giuste al momento giusto, natura di rara bellezza, Samuel Jackson magistrale...
Nonostante la stanchezza, ho gustato quasi tre ore di western senza annoiarmi.
Anzi...

Locandina Django Unchained

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Percezioni


L’Intrusa rimase per un tempo imprecisato seduta sulla vecchia poltrona mentre i suoi respiri da corti e affannosi riprendevano un ritmo lento e più rilassato. Sentì la testa finalmente leggera sull’esile collo, non più intrappolata tra due tenaglie di ferro che le impedivano di muoversi naturalmente e persino di pensare coscientemente. Di chi erano quei pensieri? Chi erano Margareth e Lady Carvorn?Perché ho  provato quelle sensazioni? Io ho davvero avuto paura, ho odiato Margareth e le ho voluto bene! Ero terrorizzata all’idea dello scandalo, di perdere Gregory come legittimo nipote! Io ho amato quel bambino... io ero… ero Lady Carvorn! La donna si guardò intorno confusa, tutto sembrava paradossalmente normale, la stanza appariva com’era al suo arrivo, gli oggetti giacevano in disordine tutt’intorno a lei; la debole luce della giornata piovosa continuava a filtrare dalla finestra in alto dietro le sue spalle, il ticchettio delle gocce d’acqua era l’unico rumore che le sue orecchie riuscivano a cogliere.
Un impulso improvviso spinse l’Intrusa ad alzarsi, in realtà non credeva che le sue gambe potessero reggerla ma la poltrona era diventata troppo scomoda e in una frazione di secondo si trovò in piedi. Lasciò vagare lo sguardo intorno a sé, ora aveva quasi l’impressione che gli oggetti fossero aumentati, ma come poteva quella piccola stanza contenere una tale quantità di cose? Stipata all’inverosimile, all’Intrusa sembrò una signora d’altri tempi che nella toeletta avesse esagerato con il belletto e gli accessori. Gli occhi della donna scivolarono sugli oggetti accatastati, infilati, rovesciati, appesi… ma cosa c’era di diverso? Una terribile constatazione la fece sobbalzare: non c’era più la porta! La porta dalla quale era entrata poco prima… o forse molto prima. Era lì dove ora ci sono quelle mensole! C’era un ingresso! Altrimenti come avrei fatto ad entrare?  Per  un attimo il panico ebbe il sopravvento poi a poco a poco un ronzio crescente le attraversò le orecchie fino ad invaderle la testa.
“Sono una prigioniera” disse lentamente ad alta voce. La pioggia sembrava aumentare di intensità, le gocce cadevano precipitosamente tictictictictictic...

mercoledì 6 febbraio 2013

Cuore di chiacchiere

Nella stava tagliando il polpettone, Rina stava finendo di insultare Mario al telefono e Ginoria teneva il proprio piatto a ridosso della teglia per essere la prima a riceverne una porzione. Io tentavo di spegnere la televisione per poter pranzare tutte insieme senza la pubblicità dei prodotti per il water o qualcuno che si ispezionava i denti direttamente sotto il naso. Avevo schiacciato tutti i bottoni del telecomando, per me la televisione di Nella resta un mistero e fino ad allora era riuscita solo a cambiare luminosità, formato dell'immagine, posizione dei canali e forse altro ma fortunatamente l'aggeggio si è spento, cioè, diciamo che si è oscurato. Comunque, nel ronzio ordinato del quadretto familiare si è incuneata la voce di Rosa: "E chi l'ha detto?!" ha urlato. L'abbiamo guardata tutte con piccoli e tondi punti interrogativi al posto degli occhietti. Lei ha incrociato le braccia e ha continuato a parlare come se fosse da sola. "Non è mica scontato, anzi! E poi va a rotoli oppure è solitudine, dunque cos'è meglio?". E dopo aver increspato profondamente la fronte, si è messa a ridere. Nessuna di noi si è preoccupata, è un comportamento naturale per Rosa, pensare a voce alta, dire la prima cosa che le passa per la testa (siamo tutte accomunate da ciò), non ascoltare i discorsi degli altri, non prestare particolare attenzione al contesto in cui si trova, rispondersi da sola e così via. Quando la cosa si verifica, di solito è Rina a riportarla alla realtà con il suo infinito tatto... In questo caso le ha messo il cellulare accanto all'orecchio e lo ha fatto squillare. Rosa è tornata da noi serenamente come se lo squillo acido al massimo volume fosse stato un dolce cinguettio. 
"Uhm! Che buono dev'essere! Gnam gnam!" ha detto puntando il polpettone ma Ginoria le ha morsicato la mano prima che prendesse la porzione destinata a lei. "Ma sei scema?!" ha gracchiato.
"Sì, io! Bella Addormentata in cucina! Ti dispiace spiegare il momento psicotico di poco fa?". Rosa ha sospirato.
"La persona che ami e che ti ama è necessariamente la persona giusta per te?". Battito di quattro paia di ciglia, più un giro completo di occhi, quelli di Rina. Eravamo sorprese di un'uscita così da parte di Rosa che è single. "E' possibile che la persona realmente giusta per te possa essere qualcuno che non ti fa svolazzare le farfalle nello stomaco?".
"Ti prometto che non parlerò mai più di Mario" si è intromessa Rina. "Però torna ad essere una single con le rotelle quasi a posto".
"La mia collega era servita e riverita da un uomo dolce, affettuoso, amante dei bambini, ottimo cuoco, spiritoso... ma a lei non piacevano i suoi pettorali, diceva che assomigliavano a pattine pelose. Così lo ha lasciato" ha raccontato Nella.
"Mi sembra una buona ragione" ha commentato Rina.
"Beh, non saprei" sono intervenuta io. "Ci sono quelle a cui svolazzano le farfalle per i primi due o tre anni e poi si ritrovano con fossili nel colon" ricollegandomi alla prima osservazione di Rosa.
"Non credo abbia fatto bene, però se la cosa la disturbava veramente tanto, meglio sola che con l'incubo delle pattine", ritorno di Ginoria sul commento di Nella.
"Un'amica di mia madre, da giovane si è innamorata di un guru della meditazione in travaglio spirituale e del suo migliore amico pasticcere. Non sapeva chi scegliere per cui li frequenta ancora entrambi". Rina ovviamente.
"Riassumendo: meglio un uomo raro con cui stai bene ma di cui non ti senti innamorata oppure un altro del quale sei persa ma che non ti comprende a fondo?" ricapitolò Rosa.
"Se ti ama ti capisce" Nella.
"O ti sopporta" Rina.
"Quindi amore è sopportazione?" chiedo.
"Anche" Rosa.
"Ma non solo" Ginoria.
"E il non amore allora cos'è?" Rina.
"Rispetto?" Nella.
"Sì ma anche l'amore lo è" Io.
"Dunque l'amore e il non amore si equivalgono" Rosa.
Silenzio.
"Passami il polpettone và". Ginoria.