martedì 9 luglio 2013

Percezioni

Mava appoggiò le radici filamentose su un panno di cotone e con un lembo dello stesso cominciò a tamponarle delicatamente per asciugarle dopodiché cominciò a spezzettarle con le dita e le mise in un’ampia brocca. Mentre lavorava la dolce signora, sempre molto concentrata nella preparazione degli unguenti medicamentosi, lasciò questa volta che i suoi pensieri fossero altri per un po'. Sentiva che la propria realtà doveva essere conosciuta altrove, qualcuno stava apprendendo della loro esistenza passata, presente o futura; la pacata signora non poteva sapere in quale tempo si trovasse l’intrusa né in quale luogo ma non era necessario che lo sapesse, il suo cuore le suggeriva di comunicare. La propria mente sarebbe stata uno specchio nel quale guardare ed essa prese a vagare lungo la strada di terra battuta che attraversava il villaggio, tra le graziose case di legno separate le une dalle altre da bassi muretti di pietra e disposte sui due lati della via principale nella forma di due mezze lune.
L’occhio della mente vide alcune donne curve sui primi germogli del proprio orto, altre radunate intorno al pozzo costruito dai fondatori del villaggio a nord dello stesso, verso le sorgenti da cui era alimentato. I padri fondatori avevano reso sacro quel luogo per la presenza di un elemento fondamentale alla loro vita come l’acqua. Essi consideravano il pozzo mezzo di congiunzione tra gli uomini ed il grembo materno della terra di cui l’acqua era la linfa vitale. Essa indicava lo stato di salute della terra ed attraverso il pozzo il mondo sotterraneo parlava con loro.

Dalla Fucina, Mava ammiccò agli scherzi delle giovani ragazze che attendevano di attingere l’acqua, i secchi appoggiati accanto alle caviglie lambite da gonne variopinte; osservò gli uomini costruire una nuova stalla per i cavalli da vendere alla fiera dell’anno, percepì la fatica di coloro che estraevano le pietre colorate dalla cava di Melkl, nome dell’uomo che l’aveva per primo scoperta. Vide un piccolo gruppo di donne e uomini anziani intenti alla lavorazione e levigazione di quelle pietre per ottenere gli utensili di uso quotidiano, si soffermò sulle loro mani piccole e agili, sulle dita robuste abituate al lavoro manuale, sui visi bruciati dal sole, pacifici e sempre pronti al sorriso, sentì le voci dei bambini nel cortile della scuola addossata ad un lieve pendio ad ovest del villaggio; lesse il nome del villaggio stesso inciso sul tronco di una quercia abbattuta da un furibondo temporale ormai tante estati prima ed ora disteso sul ciglio della strada come un vegliardo che ammoniva i nuovi arrivati: “Attenzione, ora siete a Tefuquà ” sembrava dire.

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