Un lungo bancone di legno occupava un lato della
stanza, dietro ad esso, su una serie di mensole, stavano ben ordinate tazze di
diverse dimensioni, bicchieri di vetro colorato, teiere dalle fogge bizzarre
con manici a forma di fiore o albero, dal collo allungato come quello di un
regale cigno o molto panciute, tutte con variegate tinte pastello. Accanto alla
tenda blu che separava la sala dalla cucina un’enorme credenza conteneva
tegami, ciotole e recipienti in terracotta che alla vista apparivano azzurrati
così come i vetri delle ante dietro cui erano disposti. Su alcuni scaffali a lato della credenza
erano allineati barattoli rotondi ottenuti da una pietra dura e levigata simile
ad alabastro. Nonostante fossero chiusi da coperchi rotondi a forma di pagnotta
dai barattoli fuoriuscivano aromi stuzzicanti e pungenti di spezie, erbe,
piante medicinali. O almeno questa era l’impressione degli avventori ma in
realtà solo Mava sapeva esattamente cosa contenessero i recipienti; essi non
recavano etichette o segni di riconoscimento particolari ma lei non ne aveva bisogno, ne sentiva
l’essenza attraverso le narici, sulla pelle.
Più di una volta qualche ragazzino aveva spostato per
burla uno di quei barattoli nascondendolo in cucina o in uno degli scaffali
chiusi dietro il bancone sperando di
vedere Mava perdere la sua naturale tranquillità e scervellarsi alla
ricerca del prezioso oggetto, ma erano rimasti sempre delusi perché la placida
donna andava sempre a colpo sicuro nel luogo dove era stato riposto
segretamente come se lo avesse messo là lei stessa, senza nemmeno voltarsi a
guardare il ripiano dove era naturale che stesse e dove era sempre stato.
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