Tutti avevano ormai imparato a conoscere ed apprezzare
queste peculiarità della dolce signora che mandava avanti l’unico luogo di
incontro del villaggio: la
Fucina di Mava, così lo chiamavano.
Un piccolo mondo per una piccola comunità. La gente del
villaggio viveva con ciò che la natura offriva ed era riconoscente ad essa così
come poteva esserlo un bambino nei confronti dei genitori da cui era stato
cresciuto ed amato; un rispetto dovuto e voluto verso un’autorità che donava e
puniva, un’entità che fortunatamente sfuggiva al controllo degli esseri
viventi. E questo loro lo comprendevano bene e più di tutti lo comprendeva
Mava.
“Buongiorno Mava!”
“Buongiorno a te Falia. Siedi qui, ho appena preparato il
takquò per oggi” disse versando il liquido nero in una tazza bassa e rotonda,
dopodiché depose la caraffa in cui, per poter realizzare il takquò, aveva
mischiato il liquido nero del wakra con una bevanda ottenuta dal succo di una
radice rossiccia e di altre erbe di cui solo lei conosceva i nomi astrusi.
“Grazie davvero, vengo ora dalla Mano Celeste e sono
proprio stanca. Mi sono alzata all’alba per accompagnare mio marito là ed
aiutarlo nel suo lavoro. Lui si ostina a non ammetterlo ma soffre molto per il
dolore alle ginocchia e alle caviglie ma non vuole assolutamente
che io prenda il suo posto! Eppure ci sono molte donne che lavorano laggiù! E
poi conosco bene il procedimento, sai che l’ho fatto per alcuni anni prima di
sposarmi!”.
Mava guardò con dolcezza la donna robusta con i capelli color castagna raccolti sulla nuca in un ammasso di ricci ribelli, si avvicinò con la tazza e si sedette accanto a lei.
Mava guardò con dolcezza la donna robusta con i capelli color castagna raccolti sulla nuca in un ammasso di ricci ribelli, si avvicinò con la tazza e si sedette accanto a lei.
Nessun commento:
Posta un commento