L’Intrusa aveva ora gli occhi spalancati, come in stato
di shock stringeva i manici del wakra, i muscoli irrigiditi sembravano aver
bloccato tutte le sue funzioni vitali; solo la calma trasmessa dal contatto
con la mente di Mava le permetteva di rimanere lucida.
Il volto dell’uomo, se di uomo si poteva parlare, era
diafano, le ossa del teschio spuntavano prepotentemente sotto il sottile strato
di pelle che, come un tessuto fragile teso oltre la sua capacità di
resistenza, sembrava potesse lacerarsi. Gli occhi infossati erano due pozze torbide da cui si era involontariamente
attirati.
I tre uomini rozzi seduti al tavolo sulla sinistra del
salone sembravano impietriti esattamente come tutti gli altri benché fossero
gli unici a conoscere quell’individuo raccapricciante; evidentemente, pur
lavorando per lui, non avevano mai avuto la possibilità di vederlo in faccia;
gli erano sottomessi per la paura che agguantava solo standogli vicino, per la
minaccia insita nei suoi gesti, nella sua voce.
Le sottilissimi
labbra appena distinguibili nel viso esangue si mossero per parlare.
“Mi servono uomini per allargare il letto del fiume. Possiamo
sfruttarlo per il trasporto del legname”,
la voce gutturale vibrò nell’aria come un colpo di frusta, “tutti saranno
ricompensati per il lavoro”. Queste ultime parole sembrarono risalire da un
abisso per risuonare come un’eco carica di scherno nel salone di Tefuquà.
“Il letto del fiume non può essere allargato, deve
seguire il suo andamento naturale” Mava rispose con la stessa tranquillità di
sempre.
“Non c’è niente di naturale, tutto deve essere plasmato”.
“La
Natura crea e plasma, nessuno può modificare quanto Lei ha
fatto”
La creatura aveva ora un ghigno storto che gli deformava
il già orribile viso.
“So chi sei ma non puoi fare niente per fermarmi, sei
sola, sei rimasta l’unica della tua specie”.
“Anche tu sei solo, sei venuto qui perché hai bisogno del
lavoro degli uomini, non hai abbastanza forza. Soprattutto per contrastare il
Grande Equilibrio.”
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